Da
che mondo è mondo, l’esame di laurea viene vissuto con un’enfasi
e una tensione al massimo delle stelle, accompagnate dai più vari
riti propiziatori. Per usare una metafora calcistica, tale
importante rito iniziatico può equivalere a quello che per un
calciatore è il rigore decisivo: si vuole chiudere il percorso
didattico, così come segnare il gol che separa dalla vittoria. E
seppure tali mete siano vicine, nel contempo sembrano comunque
lontane, sia nei momenti che precedono la discussione della tesi, sia
in quelli che precedono l’atto del calciare il rigore. Nei secoli,
comunque, tale momento ha sempre costituito un punto d’approdo per
chi si appresta a viverlo, scandito da riti scaramantici e usanze di
ogni tipo. Vediamone quindi un piccolo “excursus”. Nel sedicesimo
secolo, la tradizione vuole che il conseguimento della laurea, a
Padova, fosse caratterizzato da un particolare cerimoniale pubblico:
la discussione della tesi avveniva all’interno del Duomo, in
presenza del Vescovo e dopo lo svolgimento di una messa solenne. Al
termine del cerimoniale, al neolaureato, con indosso vesti ricamate
di seta, veniva posta sul capo una corona d’alloro. Al tempo
stesso, gli veniva anche consegnato uno scettro. Ai nostri
giorni, i festeggiamenti per il conseguimento del traguardo
universitario hanno assunto un aspetto sempre più goliardico e
informale. Il neo dottore, accompagnato da cori di sottofondo di
“OOOH” di amici e parenti, fa il giro dell’ateneo, al grido
ormai abituale, di “dottore, dottore, dottore del …., vaff..
vaff..!!. A Milano, gli
studenti della Bocconi, eviterebbero, se possibile, di passare
dall’atrio centrale della vecchia sede, fiancheggiato dalle statue
di due leoni: passare in mezzo alle stesse non sarebbe propiziatorio
per gli aspiranti laureandi. A Roma, presso l’Università la
Sapienza, pare che gli studenti si rifiutino all’unanimità di
volgere lo sguardo, anche in occasione degli esami precedenti alla
laurea, alla statua della dea Minerva. Tra l’altro, paradossalmente,
proprio Minerva era la dea della Saggezza.
A Torino, invece, matricole e ‘nonnini’ sono soliti non salire
mai sulla Mole Antonelliana: meglio evitare di scrutare il panorama,
se si vuole preservare il proprio futuro! A Bologna i riti
scaramantici sono addirittura tre: per prima cosa, i laureandi non
devono salire sulla Torre degli Asinelli. Secondariamente, mai
attraversare piazza Maggiore in diagonale. Infine, per chi vuole
giungere a coronare il proprio piano di studi, l’ultima regola è
quella di non recarsi al santuario di San Luca, preceduto da ben 666
portici: un numero che la cabala attribuisce a Lucifero e che, a
rigor di logica, è meglio non andare a “stuzzicare”. A Pisa,
infine, si è soliti pensare che salire sulla celeberrima Torre,
prima della discussione della tesi, possa portare talmente tanta
sfortuna, al punto da precludere irrimediabilmente il conseguimento
della laurea. Da qualsiasi punto di vista si guardi la cosa, quindi,
oltre che al variare delle città, l’esame di laurea, grazie
ai personali e non vari riti scaramantici che l’accompagnano,
costituisce un evento nell’evento, che conferisce al tutto
un’atmosfera più unica che rara. Del resto, in fin dei conti,
perché sfidare la sorte? Se basta un piccolo rito, alla fine di
tanta fatica, tentar non nuoce!
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